martedì 29 dicembre 2015

DAL BASSO#12 - La ragazza che sapeva troppo - Mario Bava - 1963



Per me, che ne conosco solo i film successivi, insomma, quelli a colori, La ragazza che sapeva troppo è un'opera inattesa, quasi irriconoscibile, nel mio personale percorso della filmografia baviana. Come già detto, lo è principalmente per un motivo, il bianco e nero invece dei saturissimi colori del maestro italiano; ma anche altri sono i punti che differenziano questo film e mi piacerebbe sviscerarne i contenuti nel corso della recensione.




È il 1963 e per Mario Bava è l'ultimo appuntamento con il bianco e nero; a questo seguiranno film importanti come Sei donne per l'assassino e I tre volti della paura: insomma, svolte importanti sia per il viaggio nell'orrore sia per la costruzione dei veri e propri stilemi del giallo all'italiana. La ragazza che sapeva troppo risulta a un primo sguardo un film quasi dimesso; è vero l'attenzione maniacale di Bava per la fotografia è forte (grande utilizzo dell'illuminazione naturale, grandi contrasti tra gli scuri e i chiari, personaggi disegnati negli spazi da un sapiente uso di ombre e luci), ma in questo film il sopravvento lo hanno senza dubbio la coerenza nella trama e il gusto per il racconto. Mai come in questo film Bava porterà la verosimiglianza a livelli alti; i buchi di sceneggiatura sono pochissimi (forse il più importante è quello sulla presenza/assenza del marito dalla stanza attigua) così come ottimi sono i dialoghi (l'unico dubbio che ho è sulla poca profondità nei personaggi). E si sente, la scorrevolezza della pellicola è perfetta, fluida, quasi come un libro giallo (Wallace, Spillane, Christie la trinità venerata dalla protagonista); il mistero iniziale, l'indagine personale, il finto colpevole, l'omicidio del testimone, il vero colpevole. Il finale è baviano come sempre, simpatico, stupido, geniale, insomma tutto insieme.




Ed è il film che prepara la strada a tutta la stagione che verrà, anche se cinematograficamente è più vicino al cinema italiano classico che al Bava di un solo anno dopo; forse la somiglianza più forte la si può trovare con il Bazzoni di La donna del lago, a cui è legato da una serie di caratteristiche riscontrabili poi nella stagione a venire: l'incapacità di classificare una situazione di partenza incomprensibile e "diversa" (inteso come minacciosa, attraente, fantastica, inverosimile) e la casualità del protagonista sono forse le più potenti a emergere dalle due pellicole (come dimenticare, spoiler, il sesso dell'assassino, fine spoiler). Ma, al contrario di Bazzoni che, forte della realtà e della sua laidezza, confonde, minaccia, inquieta e destabilizza, Bava getta le basi senza mordere, senza che la pazzia abbia spiegazione, senza che l'umanità venga masticata e risputata; insomma, da una parte i sani e dall'altra i matti, e sta tutta qui, secondo me, la debolezza di La ragazza che sapeva troppo. Non è arte e nemmeno storia, è base ma senza fondamenta, quasi casualmente (e qui sono ingeneroso, perché basta il successivo Sei donne per l'assassino a levare qualsiasi dubbio sia sulla casualità del genio sia sul lato artistico), eppure base e, di conseguenza, ponderabile ovverosia, figuratamente, che può o deve essere meditato, valutato, attentamente considerato.

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