sabato 30 luglio 2016

DAL BASSO#17 - Chi l'ha vista morire? - Aldo Lado - 1972



Subito dopo La corta notte delle bambole di vetro, il buon Aldo Lado decide di proseguire la strada intrapresa nei meandri del cinema italiano dell'epoca e, con un cast davvero di prim'ordine, scrive e dirige "Chi l'ha vista morire?", giallo tipico e abbastanza notevole (perlomeno nella prima parte), dal sapore amaro e dall'influenza riconosciuta.




Notevole la messa in scena veneziana, con la città che mai come ora (e solo successivamente nel film di Roeg, Don't look now, tardo di solo un anno, e ancor più in là nell'ottimo The Comfort of Strangers di Schrader, inizio anni '90) si svela in tutta la sua torbidezza e inaccessibilità. Pare una città del peccato, Venezia, e qualcuno nel film la paragona a Las Vegas, non so dove, non so come; certo è che il giro di prostituzione e assassinii e follia, che è il fulcro del film, si dipana nelle calli veneziane in maniera perfetta, quasi come se l'abito fosse su misura. Il protagonista, George Lazenby, di 007iana memoria è appena sotto la media, la Strindberg, invece, è come se non ci fosse, tanto è inconsistente il suo personaggio, Adolfo Celi sempre pacato e crudele, Alessandro Haber e tutti gli altri comprimari sono degni di nota. Ma la regina, ovviamente, è Nicoletta Elmi (e, infatti, la prima parte è molto meglio della seconda, considerando come metà del film la morte della nostra ragazzina prodigio), perfetta nella parte della destinata all'assassinio, perfetta nel reggere e costruire la tensione iniziale.
E prima di parlare dei numerosi e vistosi difetti della seconda parte, che compromettono un giudizio comunque positivo, all'altezza del più noto La corta notte delle bambole di vetro, bisogna fare un monumento a Morricone e al tema portante della colonna sonora di Chi l'ha vista morire? Trattasi di un coro di bambini, voci acute e parole minacciose, quasi una cantilena, che accompagna tutte le scene in soggettiva del killer e, più in generale, le situazioni di pericolo; le parole sono quasi incomprensibili, l'ossessività e la ripetitività sono grandiose e ottenute senza sforzo apparente e, senza dubbio, la funzionalità (inteso come grandezza) del tema è manifesta in quella che è la scena meglio riuscita, ovverosia il girotondo dei bambini attorno a Nicoletta.




I difetti: insomma, la Strindberg che c'entra? Oltretutto, fa una faccia appena prima dello scontro finale che pare prendere tutti per il culo, spettatori compresi. Diciamo che la caratterizzazione dei protagonisti, che dovrebbe portare alla tanto amata empatia, è debole sia per lei che per Lazenby; molto meglio i cattivi, o presunti tali, ottimo l'avvocato Bonaiuti e incredibile Serafian. Non funzionano nemmeno le ellissi temporali sul finire della pellicola, con personaggi che si ritrovano in posti a caso senza nessuna spiegazione del come e del perché, abbassando di molto la percezione di realismo e consequenzialità che dovrebbe avere un giallo che si rispetti. La regia è buona, così come la fotografia, e la scelta del cinemascope è efficace e inusuale per un giallo italiano; grande, grandissima (e ancora non mi spiego la magnificenza nella mancanza di buon senso e il coraggio nell'affrontare la censura) la scena del filmino semi hard con trucchi, scambi di genere, perversioni varie e assortite e bdsm. Top.

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