giovedì 11 febbraio 2016

VISIONI - Tabù - Tabu: A story of the South Seas



Uscito nel 1931, l'ultimo film (postumo) di Murnau, successivo all'ottimo City Girl (ottimo ed anche economicamente un disastro), fu, in fase di produzione, un disastro quasi senza precedenti. Beghe economiche, artistiche, chi ce l'ha più lungo?, dove cazzo siamo finiti?, la Polinesia, la Paramount.




Insomma, superati gli screzi iniziali sul ruolo del regista, Regista, e sull'insopportabilità del maestro tedesco, la separazione di ruoli tra Robert J. Flaherty (genio, scout di posti, mondi e storie, Nanuk l'esquimese e L'uomo di Aran, insomma un vero avanguardista duro e puro) e Murnau consente l'inizio dei lavori. E Tabù non è altro che un grande film, osannatissimo dalla critica e sfortunato, geniale e vecchio; molta della sua fama è ovviamente dovuta alla morte del regista, precedente l'uscita nelle sale di una sola settimana, ma non solo. Ci sono le scene di nudo e le tettine, c'è la favolosa storia sulla pellicola perduta e poi ritrovata e poi rimasterizzata, Anne Chevalier cocktail girl, e tantissimi altri aneddoti. Parlando del film (finalmente) si deve iniziare dalla divisione in capitoli che tronca a metà il film: il primo, Paradise, sulla normalità dell'isola e sulla vita dei suoi abitani e il secondo, dal titolo Paradise Lost, che racconta l'abbandono della terra natia e la ricerca di un'alternativa, di una possibilità, insomma, la speranza. Tabù concentra tutto il suo messaggio nella favolosa parola che fa da titolo al film, di origine polinesiana, tapu l'originale; quella che oggi ha assunto il semplice significato di vietato, proibito, aveva, nell'originale concezione maori, il significato di sacro. Sacro e quindi intoccabile, e se una cosa non si può toccare di certo non si può nominare, e forse nemmeno pensare e il discorso si farebbe filosofico, e certo ontologico; tabù è quindi il film tutto, comprendendone la storia in pre-produzione, e poi i personaggi, il luogo, e più filmicamente parlando, e non per concetti, dunque, tabù sono le perle, le isole, la donna, la vita nel peccato. Ci sono una serie di scene favolose, in cui la fotografia di Floyd Crosby ha i suoi meriti, più per la gestione della luce naturale, e dei riflessi e dei paesaggi, che per il risultato ottenuto; tra le migliori, senz'altro, meritano menzione quella della danza dei due protagonisti e poi la festa nella nuova comunità e le bottiglie di champagne che vengono stappate e poi lo squalo e l'attacco al pescatore di perle, incredibili, visivamente strabilianti.




Dopo tutti gli elogi, dovuti, non si può non notare che il film è invecchiato male; molto peggio di Aurora e di City Girl, per dirne due, e quello che può essere l'elemento decisivo per la forte anzianità (stilistica e concettuale) di Tabù è il lato documentaristico (o presunto tale, perché è tutto talmente staged che...) che male si sposa con la necessità di una trama. E lo fa fastidiosamente per uno spettatore di oggi, l'unione di due generi, dico, perchè ormai avvezzi a un altro tipo di montaggio, di idee, di verità-finzione. Detto questo, non si può nemmeno negare che l'ultima opera di Murnau permette delle bellissime riflessioni sul sonoro e sul muto e sui cartelli tanto tipici della cinematografia pre-sonoro, sull'ostinazione del tedesco nella direzione intrapresa, sull'impossibilità di mis-interpretare le immagini, sulla bellezza della colonna sonora (anche di Tabù, ovviamente). E poi, più sottilmente, forse, un'indispensabile considerazione sul ruolo dell'attore e sulla leggerissima differenza che c'è tra vita e cinema e mito. Infine, come non, spoiler, fare i complimenti a Murnau che riesce a comprendere, meglio di chiunque altro, che Tabù, tapu, taboo, non permette vie di scampo e neppure dispersi e feriti; nonostante ne fossi convinto, Tabù non finisce bene, anzi. Una delle ultime favolose immagini, quella del vecchio guerriero che con il coltello taglia la corda di Matahi e lo condanna a morte certa, è implacabile, impietosa, emozionante; e di nuovo, l'importanza del tapu, del sacro, dell'inviolabile e quindi non ne parliamo più.

7,5

0 commenti:

Posta un commento

Copyright © 2014 Direzione Cinema