domenica 12 luglio 2015

VISIONI#26 - Vendredi Soir



Va bene, Claire Denis mi piace molto, porta avanti con convinzione una rappresentazione del mondo non semplice, non cinematografica nel senso più aderente al significato, niente trama né personaggi, niente evoluzioni, difficoltà, superamento, lieto fine (banale, ma va detto).




Prima ancora del titolo (e nonostante un font bruttissimo), la fotografia della Parigi notturna è subito strepitosa, malinconica, inquietante in maniera stimolante, positiva. La colonna sonora di Vendredi Soir, come in ogni altro film (da me visto, per lo meno) della regista francese, è efficace, mai ridondante, mai coprente; è sostegno alle immagini, è forza espressiva, desiderio di fare cinema nella maniera più ampia possibile. L'inquietudine è di Laure, soprattutto, sua e della sua vita, pronta ad un cambiamento, grosso, forzato (?, non è importante), a cui sicuramente non è adatta. Valérie Lemercier è bella in un modo estremamente complesso, la sua bellezza, anche estetica, indubbiamente, trae forza dalla sua debolezza, così palese, e dalla sua forza, così marcata; ogni gesto porta con sé innumerevoli pensieri, retroazioni, idee, sfumature: è perfetta per Laure, tanto quanto Laure è perfetta per lei. L'inizio è bloccato, bloccato come il traffico stradale in cui si ritrova, sulla macchina che deve vendere, ultimo baluardo prima della resa finale, libertà, posso venire con te?; bloccato, appunto, come le sue paure, l'ansia per gli sconosciuti, sconosciuti che solo una voce radiofonica, anch'essa ignota, riesce a rendere avvicinabili. E arriva Vincent Lindon, e chi se no?, ed ovviamente si chiama Jean, non parla, fuma, si sdraia, guarda fuori, guarda le facce, le facce, sì, le altre persone, il terzo motore del film, l'umanità tutta: ogni comparsa è perfettamente caratterizzata, e bastano dieci secondi (a volte anche meno) per raccontare una vita, quella del signore che chiede il prezzo della macchina, quello della donna che cammina in mezzo alla strada e poi manda Laure a quel paese, la ragazza del bar che gioca a flipper, l'impiegato dell'hotel, la coppia al ristorante.




È un cinema fatto di persone, è vero, ma per i protagonisti, il fulcro di tutto, Claire Denis sposta l'attenzione sui particolari, andando ad esplorare gesti, pelle, tocchi, abbracci. E quindi, durante le scene di sesso, non andiamo mai sulla totalità, sull'insieme, ma sempre sul piccolo dettaglio, su ciò che rende ogni cosa diversa, non meccanica, finalmente naturale. È il desiderio, il bisogno di soddisfare la propria corporeità, il corpo come presa di coscienza, in questo caso, dei dubbi, delle paure, delle speranze. Vincent Lindon è l'uomo dei preservativi (come in Les Salauds, si diceva); scena clamorosa che (in mano ad altri sarebbe risultata squallida) Claire Denis riesce a far emergere, donandole un'aura di dolcezza e semplicità. Non so se sono convinto delle piccole (cheap, leggermente, se posso) animazioni che costellano il film qua e là; certo, sono rafforzative della libertà, dei desideri, della leggerezza con cui la protagonista affronta la notte (leggerezza in senso positivissimo, sia chiaro, come a dire, finalmente), ma hanno un non so che di posticcio, superfluo.

7,5

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