sabato 27 giugno 2015

DAL BASSO#6 - L'invenzione di Morel - Emidio Greco -1974



È difficile descrivere a parole un'opera come L'invenzione di Morel, atipica in maniera quasi disturbante, irrazionale nel complesso della cinematografia italiana (e non solo?) contemporanea. Emidio Greco (di cui ho visto solo Una storia semplice, buon film) dirige nel 1974 quello che, nelle intenzioni, vuole essere un adattamento, il migliore dei possibili adattamenti, come sempre, nonché l'unico in questo caso, del romanzo di Adolfo Bioy Casares.




Ne esce un film estremamente metacinematografico, difficile e pieno di spunti. Giulio Brogi naufraga su un'isola, è un fuggiasco, un evaso, non si sa niente di più, anzi, si sa molto meno; come parlare della trama senza accennare ai trenta minuti (trenta!) di spaesamento iniziale, dall'approdo sull'isola al primo arrivo delle maree, all'ingresso della musica? Trenta minuti in cui non siamo a conoscenza di niente, nessun pensiero esternato dal protagonista, giustamente, ignoto vero e proprio, come se ci fossimo su quella maledetta isola, come se la scoprissimo insieme a lui. E poi musica, balli, una messa in scena architettonica futuristica e meravigliosa, Moebiusiana, molto!, la bellissima Anna Karina, Morel, lo scienziato, un favoloso John Steiner, eppure nessuno pare vederlo, il naufrago (cioè lo spettatore, cioè noi), nessuno pare ascoltare le sue richieste di aiuto. Ed ecco, ecco la svolta, finalmente: i discorsi si ripetono, le situazioni avvengono per la seconda volta, identiche, tutto sembra rinnovarsi, immutabile e infinito, senza dubbi, senza interruzioni (L'Année dernière à Marienbad, certo, eppure c'è una netta anticipazione del filone sci-fi prossimo a venire). Morel ha inventato una macchina che registra tutto, i sensi e forse la coscienza, dice lui; ogni cosa successa dalla messa in funzione della macchina, discorsi, pensieri, azioni, tutto vive in eterno (voila, le cinema), le immagini prendono corpo e si ripetono, a ciclo continuo. A una condizione, la morte de corpo originale, del corpo vero e proprio, vivo; Morel vuole immortalare la settimana trascorsa sull'isola per potersi legare per sempre a Faustine, Anna Karina, di cui è innamorato, non ricambiato.




Così farà anche il naufrago, innamoratosi anch'egli della donna, e vedrà il proprio corpo andare in frantumi; il tentativo di distruggere la macchina è tardivo e, forse, nemmeno troppo voluto. E, come si diceva, gli spunti sono molteplici: il ruolo del cinema, quello che vediamo è film dentro il film, la potenza della memoria e gli eterni tentativi (sempre illusori) di poterla conservare, trattenere per sé, le immagini mi spaventano ma mi proteggono dice Giulio Brogi in una delle sue rare battute, l'amore, è un film sull'amore, la potenza dei sentimenti, l'impossibilità. l'incomunicabilità. Ma è, comunque e soprattutto, cinema, autoriflessione; analizzare questo film e trovarlo immobile, incomprensibile in quanto cristallizzatore di attimi, eppure spiegato scena (lunghissime, volutamente) per scena (il tentativo di discernere in mezzo al flusso della memoria): la stessa sensazione deve averla provata quel naufrago, su quell'isola sperduta da cui non poteva, né voleva, scappare.

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