martedì 12 maggio 2015

VISIONI #13 - Miss Violence



Il confronto con Kynodontas, oramai pietra di paragone per ogni film greco successivo e quindi necessaria fonte di ispirazione, inizia dai costumi, dal design scenografico pulito e pastello e impeccabile per poi sfociare nella rappresentazione di un ambiente familiare anormale, disastroso.




E poi, forse, il rapporto tra i due film finisce qua (anche se non vorrebbe), perché laddove il film di Lanthimos prosegue in una sur-realtà metaforica irraggiungibilmente originale, non scontata e sorprendente, Miss Violence di Avranas ha il suo svolgimento, lento, in crescendo, nella realtà più perfida e bieca, nei mostri quotidiani, nella cecità di fronte al male. È un percorso differente, che Avranas interpreta in maniera registicamente invidiabile: la camera statica si alterna a movimenti fluidi e ad aprire le inquadrature, con lunghe sequenze asfissianti e insopportabili (la lunga visita degli assistenti sociali è, in tal senso, racconto cinematografico tecnicamente ineccepibile). Il rigore e la pulizia formali hanno come controparte le prove attoriali: su tutti il vincitore della Coppa Volpi a Venezia Themis Panou, padre, nonno?, marito, carnefice, mai sopra le righe, anzi, remissivo e sottomesso con qualsiasi persona esterna alla famiglia (?), dentro la quale è severo, inflessibile eppure mai eccessivo. Così come le donne, la moglie, la figlia maggiore , tutte controllate, tutte severamente irremovibili. Ed è, infatti, la figlia minore, Myrto, a minare questo equilibrio, lei, la protagonista della scena più potente e disturbante.




E quel finale, di apertura?, no!, no, un finale spiazzante, bellissimo, in cui il dispotismo non è certo finito, è solo cambiato il carnefice, è l'unico modo di vivere che conoscono, perché cambiare? Il punto a sfavore (che toglie molto, annullando parecchi degli intenti, secondo me, ed è puramente narrativo): la costruzione della storia, fin troppo scontata prevedibile, mai sospesa, mai in dubbio; l'enigma, inteso come capacità di raccontare senza dire, purtroppo, è solo iniziale. In seguito, si aggiunge, si descrive, si guarda, si assiste, e la magia dell'incredulità, dell'addio alla normalità, al quotidiano, diventa una semplice presa di posizione, senza ulteriori livelli di profondità.

7-

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