mercoledì 20 maggio 2015

DAL BASSO#2 - Reazione a catena - Mario Bava - 1971



Già solo i titoli di testa, insomma, i primi due cinque sette minuti, garantiscono per la colonna sonora: sarà magniloquente, tambureggiante, eccitante, dolce e perfida, sarà tutto, sarà altro. Il sottotitolo è Ecologia del delitto, quindi Reazione a catena - Ecologia del delitto, ecologia inteso come? Come relazioni umane terrene, forse, il perché e il modo in cui la gente reagisce e interpola le proprie azioni e quelle altrui, con fine il delitto.





La prima, mia, reazione a caldo (a catena) è stata: in Italia si facevano film così!!! È il 1971, Mario Bava è appena dopo l'apice (non solo cronologico) della sua carriera e assume, accentra quasi tutti i ruoli della produzione (c'è Carlo Rambaldi agli effetti speciali), vuole questo film, ci crede enormemente. E la critica lo applaude, e successivamente anche il pubblico, il film diventa un cult, influenza molto, molti, nella maniera di girare la morte, nella soggettiva dell'assassino, nella crudezza di ciò che viene mostrato. Prima di parlare della storia, della narrazione e della sua casualità (e quindi originalità), gli attori: c'è Claudine Auger, c'è Nicoletta Elmi, c'è Leopoldo Trieste, ci sono altri sconosciuti, c'è pressapochismo, c'è libertà espressiva, c'è capacità di essere parte di un film di genere. È puro cinema italiano. Lo scenario è meraviglioso, la baia, il bosco, i sentieri solitari in mezzo alla vegetazione, quasi irreale, e i personaggi si muovono minuscoli, piccoli, inconsci di ciò che li circonda veramente (nonostante la baia stessa sia la causa di tutto). I personaggi entrano a caso, compaiono, scompaiono, non sono caratterizzati, sono tutti totalmente (o quasi) negativi, ognuno ammazza a insaputa degli altri, raggiungendo il culmine della propria identità nell'atto della morte, come se si diventasse se stessi appena in tempo. non c'è protagonista, quindi, e allo stesso tempo nessuno sopravvive, è innovativo prima ancora che gli altri siano a venire, non c'è speranza, e il finale assurdo è, finalmente, l'emergere del grottesco che pervade tutto il film. 




Bava si diverte, spezzando la narrazione che salta qua e là, con degli zoom continui avanti e indietro, i defocus costanti su fotogrammi incomprensibili e particolarmente studiati (allo stesso momento), e poi ritorna il fuoco, così come la nostra storia, i nostri cattivi. È già cult, macabro, originale, inestricabile, pieno di difetti e totalmente Bava, quindi cosa aggiungere?

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