sabato 30 maggio 2015

BEST#2 - La Jetée



Il comprit qu'on ne s'évadait pas du Temps, et que cet instant qu'il lui avait été donné de voir enfant, et qui n'avait pas cessé de l'obséder, c'était celui de sa propre mort.
La Jetée, enorme capolavoro di Chris Marker, del 1962, è un cine-foto-romanzo di 27 minuti; il suo senso sta tutto lì, nella frase in francese appena sopra, scandita con meravigliosa consapevolezza dalla favolosa voce di Jean Negroni, in assoluto miglior voix off della storia del cinema, insieme all'ipnotico Albertazzi de L'année dernière à Marienbad. 




È un film sul tempo e sulla memoria, necessariamente e di conseguenza, e inizia con il ricordo di una visione, il ricordo di un volto di donna, costantemente a frammenti, le fotografie, appunto; obbligatoriamente a scatti è il montaggio, naturalmente, ricostruito dal protagonista, quindi rimuovendo la parte negativa, la predestinazione, nel tentativo di sconfiggerla (?). Sconfiggere il tempo, quindi, e si entra nella fantascienza, come pretesto?, e quella frase finale che ci dice da qui non si scappa; i frammenti si riposizionano, la ricostruzione in soggettiva viene meno, la memoria si ribella e infine si svela. Ecco il Tempo, ecco l'istante originale. E sta tutto in questo inquietante paradosso, nel principio di autoconsistenza di Navikov, che ci dice che il passato è immutabile;non si può mentire alla verità, al Tempo stesso, non si può ricordare in maniera capziosa, non si può evadere. Ed è entusiasmante vedere un film distopico che utilizza fotografie reali per presentare il futuro e due bende sugli occhi come macchina del tempo; è incredibile notare come sia credibile La Jetée proprio in quello che dovrebbe essere il suo punto debole, la totale assenza di budget e quindi la mancanza di effetti speciali. È sorprendente e funziona perché punta su ciò che lega l'uomo al futuro, ai tentativi di viaggi nel tempo, alla modifica del passato (impossibile!): cercare di cambiare il corso di, liberarsi dall'unico giogo reale contrastante il libero arbitrio, il Tempo, appunto.




Tempo che è dappertutto: nel Museo nazionale di storia naturale di Parigi, al Jardin des Plantes, dove, nella galleria degli animali estinti e nelle sale successive, i due protagonisti passeggiano fra istanti fermati e conservati, gli animali impagliati (è anche una riflessione sugli spazi museali e più in generale sull'arte come unica possibilità di cattura del Ricordo); nei giardini dove viene riproposta la famosa scena di Vertigo, leggermente differente (il bellissimo Comme en rêve, il lui montre un point hors de l’arbre. Il s’entend dire : « Je viens de là… »), Vertigo che, indissolubilmente, ha un forte legame con la produzione markeriana (le strade di San Francisco e a ricostruzione del film in Sans Soleil, i tentativi di spiegazione di Marker sulla trama (?) del capolavoro di Hitchcock, sul fatto che la prima parte fosse un ricordo, una ricostruzione della memoria, e la seconda la squallida realtà; film assolutamente fondamentale, in ogni caso); nelle immagini di guerra, come già detto, dove la realtà è finzione e viceversa (quindi, dove non si vuole credere al Tempo). Il culmine emotivo, quasi imposto dal regista e dalla sua possibilità di noleggiare l'Arriflex solo per un pomeriggio (pazzesco!), è la mini sequenza animata dell'apertura degli occhi di lei, dello svegliarsi da un sogno, inteso come ricordo? (e qui, citazione non necessaria, la sigla di Banshee, ma è per cafoni, non fateci caso), o è lui che ricorda (?) e, nel farlo, ricostruisce il presente? (che in una concezione lineare, quasi spaziale, del tempo, come quella markeriana, non è altro che già passato; è tutto passato, è tutto memoria). Per il futuro c'è poco spazio: nel loop perfetto che è La Jetée, gli uomini del futuro sono a conoscenza, necessariamente, dell'arrivo di un eroe che salverà la razza umana e, soprattutto, sono già consapevoli della sua morte e della sua richiesta, di viverla quella morte, e non possono fermarlo, non sono nemmeno sfiorati dall'idea di. È un meccanismo perfetto, imprescindibile in ogni sua parte.
Est-ce le même jour? Il ne sait plus. Ils vont faire comme cela une infinité de promenades semblables, où se creusera entre eux une confiance muette, une confiance à l’état pur. Sans souvenirs, sans projets. Jusqu’au moment où il sent, devant eux, une barrière.

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